Dimissioni dal lavoro, il 41 per cento si è dichiarato pentito o insoddisfatto. (scopri tutti gli annunci e le offerte di lavoro sempre aggiornati. Ricevi su WhatsApp e sul canale Telegram la rassegna stampa con le ultime novità sui concorsi e sul mondo del lavoro. Resta sempre aggiornato sulla nostra pagina Facebook e Prova il nostro tool online per la ricerca di lavoro in ogni parte d’Italia. Per continuare a leggere l’articolo da telefonino tocca su «Continua a leggere» dopo l’immagine di seguito).
Indice
Il dato si riferisce ai due milioni di lavoratori che nel 2022 hanno deciso di lasciare il posto di lavoro (con un aumento del 13,8 per cento rispetto al 2021: 1 milione e 930 mila). Una cifra che ha stupito molti osservatori: quella scelta quasi di massa è stata definita come “grandi dimissioni”.
Ebbene oggi, secondo i dati che sono stati elaborati dall’Osservatorio Hr Innovation Practice del Politecnico di Milano, i pentiti post dimissioni sono un po’ meno della metà. Un numero molto alto.
I motivi alla base della scelta di lasciare il lavoro sono disparati, tra le ragioni più frequenti sono due:
- le migliori condizioni economiche e i benefit;
- la flessibilità nell’organizzare il proprio orario.
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Dimissioni dal lavoro, soprattutto 50enni
Questa scelta in Italia ha riguardato soprattutto lavoratori con più di 50 anni. Ma non è tutto: la ricerca ha evidenziato come il 46 per cento delle persone intervistate ha dichiarato che ha cambiato occupazione o intende farlo.
Sono comunque gli under 27 che manifestano questa intenzione in larga maggioranza: il 77 per cento (in questo caso pesa anche la precarietà dei contratti e una maggiore propensione al cambiamento rispetto alle generazioni precedenti, quelle del “posto fisso”).
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Dimissioni dal lavoro, insoddisfazione
La motivazione base di questo desiderio di cambiare lavoro, questa spinta alle dimissioni è considerato un fiume carsico che attraversa l’intero mercato del lavoro nazionale, in modo trasversale.
C’è stato anche un cambio di paradigma notevole dopo la pandemia (accelerato ulteriormente con le incertezze geopolitiche, la crisi climatica, le questioni energetiche): è cresciuto in modo importante il numero di lavoratori che ritiene di dover fare il meno possibile sul posto di lavoro: questo fenomeno è stato definito “Quiet Quitting”, letteralmente “licenziamento silenzioso”: vediamo cosa significa.
Dimissioni dal lavoro, licenziamento silenzioso
Il Quiet Quitting coinvolge molti lavoratori in Italia. I dipendenti sono disposti cioè a svolgere in azienda solo lo stretto indispensabile (le ore che sono previste dal contratto), rifiutando in modo sistematico di fare straordinari, aderire a progetti extra e ad assumersi altre responsabilità.
Un atteggiamento non così marginale: riguarda il 12 per cento dei lavoratori italiani (2,3 milioni di persone).
I motivi di questo “distacco”, secondo l’analisi dell’Osservatorio Hr Innovation sono in genere questi:
- non c’è coinvolgimento emotivo nelle attività lavorative;
- non si sentono valorizzati i propri talenti.
La risposta a questa insoddisfazione è la scelta di “spegnersi” utilizzando solo il minimo indispensabile delle energie sul lavoro.
Sul fronte opposto c’è un 6 per cento di lavoratori che non riesce a smettere di lavorare, neppure quando dovrebbe dedicarsi alla vita privata.
Dimissioni dal lavoro, qualche dato
Sono dunque cambiate le aspettative delle persone nei confronti della vita aziendale. Aspettative che quando non sono realizzate (spesso) si traducono nel desiderio di trovare una nuova occupazione.
Basta un dato per confermare questo aspetto: il 55 per cento dei lavoratori sta facendo colloqui nel tentativo di cambiare lavoro.
Questo 55 per cento è quindi sicuramente insoddisfatto. E gli altri?
- il 7 per cento si dichiara felice;
- l’11 per cento ha dichiarato di stare bene rispetto alle tre dimensioni del benessere legate al lavoro:
- psicologica;
- relazionale;
- fisica.
La questione psicologica, hanno notato gli esperti che hanno condotto lo studio, è quella che viene ritenuta più critica: il 42 per cento dei lavoratori si è assentato almeno un giorno nell’ultimo anno proprio in conseguenza di un malessere di natura psicologica e relazionale.
Dimissioni dal lavoro, vita privata
C’è una condizione importante che si è modificata in modo consistente dopo la pandemia: le persone non sono più disposte (o lo sono molto meno di prima) ad accettare anche solo la percezione che il lavoro invada gli spazi riservati alla vita privata.
Lo studio ha riscontrato due reazioni molto diverse:
- la Work Life Integration: le persone che trovano nel lavoro una componente importante della soddisfazione personale, e quindi sono propense a gestire il lavoro integrandolo con la vita privata. Questo atteggiamento riguarda il 43 per cento di lavoratori;
- la Work Life Separation: si definisce così l’atteggiamento di quanti ritengono che la soddisfazione personale si realizzi fuori dall’ambiente lavorativo. Una condizione che ha una ovvia conseguenza: tracciare un confine netto e invalicabile tra vita privata (che viene prima) e attività lavorativa. Questa situazione viene vissuta dal 55 per cento delle persone.
Questo dato è quello che deve spingere a una più profonda riflessione: oggi più di sempre l’equazione che ha caratterizzato il ‘900 (e parte degli anni 2000), lavoro/sacrificio/realizzazione, regge sempre meno.

Dimissioni dal lavoro, la terza opzione
La terza opzione tra le dimissioni e il licenziamento silenzioso (Quiet Quitting) è il cosiddetto Quiet Thriving, ovvero la tendenza a modificare l’approccio al lavoro, cercando nuovi stimoli e rendendo migliori le relazioni professionali, cercando degli obiettivi condivisi per crescere professionalmente.
Questa strada, come dire, sembra quella del “buonsenso”. Ma non sempre, evidentemente, questa scelta sembra percorribile.
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