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La fuga dei laureati all’estero: 80mila in 10 anni

La fuga dei laureati all'estero: 80mila in 10 anni e le partenze continuano, mentre le aziende cercano personale. Il mercato del lavoro è il segnale più evidente delle difficoltà del sistema Paese. Crescono i neet. Quali sono i settori dove con un po’ di formazione si riesce a trovare subito lavoro.

di Redazione

Maggio 2023

La fuga dei laureati all’estero non si ferma: ogni anno ne partono 8.000, tra i 25 e i 34 anni. (scopri le ultime notizie e poi leggi su Telegram tutte le news sulle pensioni e sulla previdenza. Ricevi ogni giorno sul cellulare gli ultimi aggiornamenti su bonus, lavoro e finanza personale: entra nel gruppo WhatsApp, nel gruppo Telegram e nel gruppo Facebook. Scrivi su Instagram tutte le tue domande. Guarda le video guide gratuite sui bonus sul canale Youtube. Per continuare a leggere l’articolo da telefonino tocca su «Continua a leggere» dopo l’immagine di seguito).

Negli ultimi 10 anni sono andati via dall’Italia 120.000 laureati. 40.000 sono rientrati, gli altri 80.000 sono stati persi: non rientrano e forse non lo faranno mai.

Cifre che impongono una riflessione seria: la partenza di tanti talenti si somma all’invecchiamento della popolazione e alla diminuzione delle nascite. Tre aspetti che sono la nitida rappresentazione di un Paese in forte difficoltà. Senza dimenticare il costante aumento dei neet, i giovani che non studiano e non lavorano.

Ormai è chiaro a tutti che il punto debole del sistema Italia è proprio il capitale umano: non è sufficiente a garantire servizi e lavoro in tanti settori e non potrà più alimentare il serbatoio del sistema previdenziale. 

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La fuga dei laureati all’estero: dato preoccupante

In Italia c’è un dato preoccupante: con una disoccupazione del 7,8 per cento (che sale al 22,3 per cento tra i giovani), il 45 per cento delle aziende non riesce a trovare la manodopera necessaria per lo sviluppo.

I dati sulle partenze dall’Italia di giovani laureati sono stati diffusi da Look4Ward, l’Osservatorio per il lavoro di domani di Intesa San Paolo, uno studio realizzato in collaborazione con l’Università Luiss Guido Carli e in partnership con Siref Fiduciaria, Accenture e Digit’Ed.

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La fuga dei laureati all’estero: cosa fare

C’è dunque un gap sostanziale tra il lavoro offerto dalle aziende e le competenze richieste. Ma non solo: il mercato del lavoro non riesce a intercettare tanti giovani laureati che spesso sono costretti ad andare via per cercare una occupazione.

I numeri parlano chiaro: il 67 per cento delle imprese non riesce a trovare nuovi talenti con specializzazioni tecniche e informatiche. Tutto questo accade in un Paese che ha la percentuale più alta di neet (giovani che non studiano e non lavorano) dell’Unione Europea.

Sono il 23,1 per cento. Ovvero 2,1 milioni, una cifra che sale a 3 milioni se si considera la fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni.

La fuga dei laureati all’estero: ricambio generazionale

Tutto questo comporta anche un rallentamento nel ricambio generazionale, che non consente di attivare con la necessaria velocità i processi innovativi e di transizione sostenibile nelle aziende italiane: c’è il rischio concreto di perdere competitività a livello internazionale.

Tra il 2011 e il 2021 i top manager con più di 49 anni piuttosto che diminuire sono aumentati del 53 per cento. Mentre sono aumentati del 27 per cento quelli che hanno più di 70 anni. E i giovani?

La fuga dei laureati all’estero: categorie di neet

Oltre alla perdita di tanti giovani laureati, che testimonia anche i limiti delle aziende italiane (non riescono a intercettare i talenti e a offrire stipendi e prospettive adeguate e concorrenziali rispetto alle proposte che arrivano dall’estero), il punto dolente del mercato del lavoro, come accennato, è rappresentato proprio dai giovani che non studiano (c’è però una percentuale di laureati) e non cercano un’occupazione.

I neet italiani non sono ovviamente tutti uguali, lo studio di Look4Ward li ha suddivisi in diverse categorie:

La fuga dei laureati all’estero: chi sono i disoccupati

Anche per la condizione lavorativa lo studio ha differenziato diverse tipologie:

È stata fatta anche una suddivisione per titoli di studio:

La fuga dei laureati all’estero: inclusione socio lavorativa

L’Osservatorio di Intesa San Paolo sta monitorando ogni sei mesi il fabbisogno di talenti, verificando quali sono le competenze indispensabili per la riqualificazione delle figure professionali in tutti i settori strategici della nostra economia.

L’obiettivo è chiaro: promuovere e sostenere l’inclusione lavorativa.

I settori dove più si concentra, e sarà così anche nel prossimo futuro, la necessità di assumere forza lavoro giovane e preparata sono questi nel nostro Paese:

In tutti questi settori il 45 per cento delle aziende ha disperato bisogno di lavoratori.

La fuga dei laureati all'estero: 80mila in 10 anni
Nella foto una giovane con la valigia

La fuga dei laureati all’estero: cosa bisogna fare

Queste esigenze sono esplose oggi, ma sono note da tempo: eppure non è stato fatto nulla. Nè ieri, nè adesso. Il governo ha puntato tutto sulla semplificazione dei contratti a tempo determinato e le decontribuzione per incentivare le assunzioni (e forse anche il precariato).

Ma il nodo non è quello: in tanti settori manca una adeguata formazione. L’investimento deve essere fatto sulle competenze, sulle nuove tecnologie, sulla sostenibilità, sulle conoscenze trasversali (soft skills).

Formare i giovani, soprattutto quelli che non hanno frequentato l’università, prepararli per un mercato del lavoro che ha bisogno di assumere, ma ricerca anche delle professionalità adeguate alle nuove esigenze.

Le aziende dovranno a loro volta fare di più per intercettare con offerte adeguate i tanti talenti che vanno via dal Paese.

Se non si attivano politiche realmente “inclusive” dei giovani al lavoro, tra sei mesi saremo di nuovo qui a commentare dati che raccontano di aziende sempre più in difficoltà per carenza di dipendenti, neet in costante crescita (e con un’età sempre più alta), e altre migliaia di laureati che hanno intrapreso percorsi occupazionali lontano dall’Italia.

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