L’operaio vive 5 anni meno del dirigente, lo dimostra il rapporto annuale dell’INPS. Una diversa aspettativa di vita che si sta allargando con il tempo (qualche anno fa la differenza era di 3 anni), un dato che dovrebbe essere preso nella giusta considerazione da chi si sta occupando della riforma delle pensioni. (scopri le ultime notizie sulle pensioni e su Invalidità e Legge 104. Leggile gratis su WhatsApp, Telegram e Facebook).
Indice
Cosa dice il rapporto INPS
Il rapporto annuale dell’INPS è stato presentato ieri (mercoledì 13 settembre) alla Camera dei Deputati. La statistica ha rivelato che un ex lavoratore dipendente, con un reddito coniugale più basso, ha un’aspettativa di vita a 67 anni (da quando va in pensione) di 5 anni inferiore rispetto a un ex dipendente del Fondo Inpdai, quello riservato ai dirigenti.
Ma non solo: un operaio vive cinque anni in meno anche rispetto ad altri lavoratori, come quelli del settore volo o telefonici, che hanno un reddito più alto.
La differenza è più evidente tra gli uomini, ma è rilevante anche tra le donne.
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Un operaio vive 5 anni meno di un dirigente: sistema previdenziale
Una così marcata differenza di aspettativa di vita dopo la pensione non può essere trascurata a livello previdenziale. Per una questione di equità e solidarietà.
Al momento il calcolo che determina gli importi della pensione non prende in considerazione questo aspetto. Infatti il tasso di trasformazione che si applica al montante contributivo (dal quale poi scaturisce la somma che si riceve con l’assegno pensionistico) è identico.
Oggi, in pratica, è a scriverlo è la stessa INPS nel rapporto annuale, «con la mortalità varia, tra l’altro, in base al reddito, l’attuale sistema, non tenendone conto, trasferisce risorse dai meno abbienti ai più ricchi e longevi, generando una solidarietà al contrario».
Ovvero: sono i cittadini più poveri a pagare una parte delle pensioni dei più benestanti, proprio perché ricevono mediamente gli importi per 5 anni di meno.
Ma, è importante ricordarlo, l’operaio vive tre anni di meno anche rispetto a chi ha lavorato come impiegato.
E c’è da aggiungere: con la costante espansione del sistema contributivo le disparità legate alle aspettative di vita diventeranno con il passare del tempo sempre più evidenti.
Quali sono le aspettative di vita a livello regionale?
Ci sono anche delle differenze regionali rispetto all’aspettativa di vita. In particolare tra Nord e Sud.
Ad esempio un ex lavoratore residente in Campania, inserito nella fascia di reddito bassa, ha una aspettativa di vita inferiore di 4 anni rispetto a un cittadino del Trentino Alto Adige con un reddito più alto.
I tre fattori chiave secondo l’INPS
La ricerca dell’INPS ha preso in considerazione tre fattori cruciali:
- Un indice di potenzialità economiche che tiene conto del reddito del coniuge;
- La gestione previdenziale che tiene conto del tipo di lavoro svolto e della sua possibile influenza sulla vita;
- La regione di residenza del pensionato, un indicatore del contesto socioeconomico.
Questi elementi hanno permesso di tracciare il quadro descritto nelle sezioni precedenti.
La proposta dei sindacati
I sindacati, in particolare la CGIL, ha proposto al governo di riconoscere un coefficiente diverso rispetto all’aspettativa di vita di un ex lavoratore.
Il discorso è piuttosto semplice: chi è stato impegnato in occupazioni che riducono statisticamente gli anni di vita ha diritto a ricevere una pensione più alta, perché la riceverà per un tempo più limitato.
Al momento la questione non è stata presa in considerazione dal governo. Ma è la stessa INPS a dichiarare che modificare i coefficienti per la valutazione degli importi rispetto all’aspettativa di vita è un metodo per ristabilire equità e solidarietà sociale nel sistema previdenziale.
L’esecutivo ha il dovere di prendere in considerazione l’analisi dell’istituto.
Dal rapporto annuale dell’INPS sono emersi anche altri aspetti interessanti. Ne analizziamo alcuni.
Perché aumentano le dimissioni volontarie?
Nel 2022, si è registrato un incremento significativo delle dimissioni volontarie, con un aumento del 26% rispetto al 2019. Questo, come spiega la commissaria dell’Inps, Micaela Gelera, non indica un ritiro dal mercato del lavoro. Piuttosto, suggerisce una crescente mobilità lavorativa, con i lavoratori alla ricerca di condizioni più favorevoli.
Picco storico per l’occupazione: 61%
L’occupazione in Italia ha raggiunto il suo massimo storico, attestandosi al 61%. Nonostante ciò, il paese affronta sfide legate all’invecchiamento della popolazione, a differenze regionali tra Nord e Sud, e a una crescente disparità tra lavoro dipendente e autonomo.
Se confrontati con gli standard europei, gli indicatori italiani del mercato del lavoro restano inferiori.
Differenza di importi per le pensioni di uomini e donne
Nel 2022, la spesa totale per le pensioni ha raggiunto i 322 miliardi di euro. Di questi, il 56% è stato destinato agli uomini. La ragione principale di questa disparità sta nelle carriere intermittenti delle donne e nelle retribuzioni che, per loro, risultano essere mediamente più basse. Infatti, le donne ricevono in media 1.416 euro contro i 1.932 euro per gli uomini.
Come ha pesato l’inflazione su famiglie e pensionati
L’INPS ha anche messo in luce come l’inflazione abbia avuto ripercussioni diverse sulle varie fasce della popolazione. Basandosi sui dati Istat, emerge che l’inflazione accumulata tra il 2018 e il 2022 ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie in modo disomogeneo.
Le famiglie che hanno risentito di più sono state quelle dei pensionati, in particolare quelle appartenenti ai due quinti di spesa più bassi. Hanno infatti subito una perdita del reddito reale del 10,6%, una cifra considerevole se paragonata alle famiglie che hanno solo redditi da lavoro.
Anche le famiglie di pensionati più benestanti hanno subito perdite, seppur in misura minore, con un calo del reddito reale del 7,5%.
Politiche a favore della natalità
Nel XXI rapporto annuale, l’INPS ha sottolineato l’importanza delle politiche introdotte negli ultimi anni per incentivare la natalità e per aiutare le famiglie a gestire meglio i tempi tra lavoro e vita privata. Si tratta di un insieme di misure che vanno ben oltre il semplice sostegno economico, comprendendo anche strategie volte a ridurre il divario di genere nel mondo del lavoro e promuovere una maggiore condivisione delle responsabilità domestiche tra uomini e donne.
Uno degli strumenti più significativi introdotti è l’Assegno Unico e Universale. Questa misura, nata con l’obiettivo di semplificare l’accesso ai benefici per le famiglie, fornisce un unico assegno mensile calibrato sulle esigenze di ogni nucleo familiare. L’intento è quello di garantire un sostegno economico a tutte le famiglie, indipendentemente dalla loro condizione lavorativa.

FAQ (domande e risposte)
Quale è la differenza di aspettativa di vita tra un operaio e un dirigente secondo il rapporto annuale dell’INPS?
Un operaio ha un’aspettativa di vita inferiore di 5 anni rispetto a un dirigente, come mostrato dal rapporto annuale dell’INPS. La differenza si è allargata nel tempo, dato che qualche anno fa la discrepanza era di 3 anni.
Come varia l’aspettativa di vita tra Nord e Sud in Italia?
Ci sono effettivamente differenze regionali nell’aspettativa di vita tra Nord e Sud dell’Italia. Ad esempio, un ex lavoratore residente in Campania, con un reddito basso, ha un’aspettativa di vita inferiore di 4 anni rispetto a un cittadino del Trentino Alto Adige con un reddito più elevato.
Quali sono i tre fattori su cui si basa l’analisi dell’INPS riguardo l’aspettativa di vita?
L’analisi dell’INPS riguardo all’aspettativa di vita si basa su:
- Un indice di potenzialità economiche, che considera anche il reddito del coniuge.
- La gestione previdenziale, che tiene conto del tipo di lavoro svolto e dell’influenza che l’occupazione può avere sull’aspettativa di vita.
- La regione di residenza del pensionato, che riflette il contesto socioeconomico in cui vive.
Qual è la proposta dei sindacati su aspettativa di vita e pensioni?
I sindacati, e in particolare la CGIL, hanno proposto di riconoscere un coefficiente diverso rispetto all’aspettativa di vita di un ex lavoratore. Questo perché chi ha svolto lavori che riducono statisticamente l’aspettativa di vita dovrebbe avere diritto a una pensione maggiore, considerato che la percepirà per un periodo di tempo più breve. L’INPS stessa sostiene che modificare i coefficienti per la valutazione degli importi pensionistici rispetto all’aspettativa di vita sarebbe un modo per ristabilire equità e solidarietà nel sistema previdenziale.
Come è cambiata l’occupazione in Italia secondo il rapporto INPS?
Nel 2022, l’input complessivo di lavoro, misurato in settimane, è aumentato del 4,1% rispetto al 2019. Il totale dei redditi da lavoro e delle retribuzioni ha raggiunto circa 650 miliardi di euro, registrando un incremento dell’8% rispetto al 2019. Non si è verificata la temuta grande ondata di licenziamenti post-pandemia e ci è stato un aumento significativo delle dimissioni volontarie (+26% rispetto al 2019), interpretate come un segno di maggiore mobilità lavorativa in cerca di condizioni migliori. L’occupazione in Italia ha raggiunto un picco storico del 61%, ma esistono ancora delle criticità.
Qual è l’importanza delle politiche per la natalità nel XXI rapporto annuale dell’INPS?
Nel XXI rapporto annuale dell’INPS, si sottolinea l’importanza delle politiche adottate per stimolare la natalità e semplificare la gestione dei tempi di vita e lavoro. Queste politiche comprendono misure di sostegno alla maternità e paternità, strumenti per ridurre il divario di genere nel lavoro, e promozione della condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne. Inoltre, il sostegno economico alle famiglie, attraverso agevolazioni fiscali, sussidi e incentivi, è stato identificato come un elemento fondamentale per incoraggiare la natalità. Un’importante innovazione è l’Assegno Unico e Universale, progettato per garantire un sostegno finanziario uniforme a tutte le famiglie.
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